Lo scopo di questa guida è quello di fornirti tutte le principali informazioni preliminari sul divorzio; tutte quelle informazioni che di solito vengono acquisite nel primo incontro preliminare con l’Avvocato. Grazie ad essa avrai una visione di insieme del procedimento che ti accingi ad affrontare
Il matrimonio, a seguito della sentenza di divorzio passata in giudicato (ovvero non più soggetta ad impugnazione), o per effetto dell’accordo adottato all’interno del procedimento di negoziazione assistita, o per l’effetto dell’accordo concluso dinanzi all’Ufficiale di stato civile, termina definitivamente.
Quindi, in caso di matrimonio concordatario (ossia quello contratto dinanzi ad un ministro di culto cattolico), si avrà la cessazione degli effetti civili del matrimonio, mentre, nel caso di matrimonio civile, si avrà lo scioglimento del matrimonio.
Solo a seguito del divorzio, moglie e marito diventano “ex”, ovvero, perdono definitivamente lo status di coniuge.
Solo con il divorzio – e non con la separazione – gli ex coniugi perdono i reciproci diritti successori, cessando di conseguenza di essere eredi l’uno dell’altro, e tornano ad essere due (quasi) perfetti estranei. Nessuna quota di legittima dell’eredità viene, infatti, riservata dalla legge al coniuge divorziato, a differenza del coniuge solo separato.
Solo a seguito del divorzio è possibile contrarre nuovo matrimonio, o unione civile, o diventare “convivente di fatto”.
I procedimenti di divorzio, tanto consensuale quanto giudiziale, sono stati grandemente innovati dalla c.d. Riforma Cartabia (D.L.vo n. 149/2022).
Tutto quanto verrà di seguito esposto è aggiornato con le innovazioni apportate da questa Riforma.
Nel caso in cui il divorzio sia preceduto da una separazione di natura consensuale, il tempo da attendere è di sei mesi decorrenti dalla comparizione personale dei coniugi dinanzi al Giudice relatore, purché sia passata in giudicato la sentenza che pronuncia la separazione personale e non vi sia stata nelle more la riconciliazione dei coniugi, attraverso la ripresa della convivenza.
Nel caso in cui la separazione consensuale sia avvenuta per il tramite della procedura di negoziazione assistita, il termine di sei mesi, secondo parte della dottrina, decorre dalla data dell’accordo di negoziazione certificata dagli avvocati, che a loro volta sottoscrivono l’accordo, seconda altra parte, detto termine decorre dalla data in cui la Procura della Repubblica dà l’autorizzazione o il nulla osta (a seconda se vi siano o meno figli minori) all’accordo medesimo.
Nell’ulteriore ipotesi in cui la separazione consensuale sia avvenuta dinanzi al Sindaco i sei mesi decorrono dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’Ufficiale dello stato civile.
Nel caso, invece, in cui il divorzio sia preceduto da una separazione di natura giudiziale, il tempo da attendere è di un anno decorrente dalla comparizione personale dei coniugi dinanzi al Giudice relatore, purché sia passata in giudicato la sentenza che pronuncia la separazione personale e non vi sia stata nelle more la riconciliazione dei coniugi, attraverso la ripresa della convivenza.
La Riforma Cartabia prevede che, con il ricorso con il quale si chiede la separazione personale, sia possibile contestualmente chiedere anche il divorzio.
Ovviamente, la domanda di divorzio sarà procedibile solo dopo che siano trascorsi sei mesi dalla separazione consensuale, ovvero un anno dalla separazione giudiziale, senza che vi sia stata riconciliazione (è, cioè, necessario che la convivenza tra i coniugi non sia ripresa).
La sentenza sullo status di separati – la cui pronuncia è necessaria per poter proseguire con il divorzio – può essere adottata, grazie alla riforma in commento, in tempi molto rapidi, anche in caso di separazione giudiziale, potendo essere pronunciata anche subito l’udienza di prima comparizione che viene fissata entro 90 giorni dal deposito del ricorso.
La possibilità di riunire in un unico ricorso tanto la domanda per la separazione quanto quella per il divorzio, consente di semplificare ed abbreviare l’istruttoria dei due procedimenti, dal momento che i documenti (dichiarazione dei redditi, estratti conti bancari ecc.) che vengono posti alla base della domanda di separazione sono gli stessi di quelli che vengono posti alla base della domanda di divorzio, parimenti uguali sono tutte le questioni e i relativi documenti e prove che riguardano l’affidamento dei figli, il loro collocamento e mantenimento, nonché l’assegnazione della causa coniugale.
Le principali questioni che debbono decise nel procedimento di divorzio, sia esso svolto consensualmente, oppure per via giudiziale sono:
Con il divorzio può essere riconosciuto al (ex) coniuge economicamente più debole, un assegno di mantenimento, nonché, ove lo stesso sia affidatario dei figli, l’assegnazione della casa familiare.
Si osserva come l’assegnazione della casa coniugale verrà disposta dal Giudice solo ove siano presenti figli minorenni, ovvero maggiorenni ma non economicamente autosufficienti.
L’assegnazione di detta casa, avverrà a favore del (ex) coniuge c.d. affidatario, cioè del coniuge presso il quale i figli passeranno la maggior parte del loro tempo, essendo rare le ipotesi in cui, pur in presenza dell’affido condiviso, il tempo che i figli passano con i rispettivi genitori sia del tutto equivalente.
Ci sono due modi per divorziare: consensualmente o giudizialmente.
Il divorzio consensuale (c.d. divorzio congiunto) si ha quando i futuri ex coniugi raggiungono (con l’ausilio di un solo avvocato, o di due o più avvocati per parte) un accordo su tutte le condizioni del divorzio, quali a livello esemplificativo: l’assegnazione della casa coniugale, il mantenimento dei figli, l’affidamento dei figli minorenni, l’eventuale mantenimento del coniuge economicamente più debole.
A seguito del deposito del ricorso, il Presidente fissa l’udienza per la comparizione della Parti dinanzi al Giudice relatore (si osserva come la competenza a decidere del divorzio sia del Collegio e non del Giudice monocratico) e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero, il quale esprime il proprio parere entro 3 giorni prima della data dell’udienza.
L’art. 473 bis. n. 51 del riformato codice di procedura civile prevede che il ricorso per il divorzio consensuale debba essere sottoscritto da entrambi i coniugi e debba contenere le seguenti necessarie indicazioni;
Con il ricorso le Parti possono anche regolamentare in tutto o in parte i loro rapporti patrimoniali.
In forza dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987 tutti i trasferimenti immobiliari, che vengano effettuati dai coniugi per definire, all’interno del procedimento di divorzio, i loro rapporti patrimoniali, sono esenti da tasse e quindi le Parti non pagheranno per detti trasferimenti alcuna imposta di registro, ipotecaria e catastale.
Durante l’udienza, il Giudice relatore, sente le Parti e prende atto della loro volontà di non riconciliarsi; il Giudice medesimo può sempre chiedere dei chiarimenti circa il contenuto dell’accordo raggiunto dai coniugi e trasfuso nel ricorso e, può sempre richiedere che venga a depositata la seguente documentazione:
Terminata l’istruttoria, il Giudice rimette la causa alla decisione del Collegio, il quale provvede con sentenza, con la quale viene preso atto degli accordi intervenuti tra le Parti.
No
I coniugi, che di comune accordo non intendono comparire dinanzi al Giudice, debbono, per il tramite del loro legale, farne richiesta nel ricorso, chiedendo che l’udienza di comparizione personale degli stessi sia sostituita dal deposito di note scritte.
In tal caso (cioè se non vogliono comparire) i coniugi, nel ricorso, debbono espressamente dichiarare di non volersi riconciliare e debbono depositare la seguente documentazione:
Nel caso in cui il Giudice ritenga che l’accordo dei coniugi contenga decisioni in contrasto con l’interesse dei figli, convocherà le Parti indicando le modificazioni da apportare.
Se queste modificazioni non vengono apportate, ovvero la soluzione prospettata dalle Parti non viene ritenuta idonea, la domanda di divorzio verrà rigettata.
Sì.
È possibile divorziare consensualmente, non solo tramite ricorso depositato in Tribunale, ma non anche attraverso l’agile strumento della negoziazione assistita.
La procedura di negoziazione assistita consente di divorziare in tempi molto rapidi, senza la necessità di andare in Tribunale.
Per l’espletamento della procedura di negoziazione assistita, infatti, la legge prevede un termine minimo di un mese ed un termine massimo di tre mesi per trovare l’accordo, termine questo prorogabile per volontà delle Parti di altri 30 giorni.
Puoi visionare il modulo del Consiglio Nazionale Forense da utilizzare per la stipula della Convenzione di negoziazione assistita.
Nel caso in cui si opti per la negoziazione assistita, l’accordo che viene raggiunto dai coniugi (che dovranno essere necessariamente assistiti da almeno un avvocato per parte) non viene trasfuso in un ricorso da depositarsi in Tribunale, ma è lo stesso accordo che viene depositato presso la Procura della Repubblica del Tribunale competente, che, in pochi giorni lo autorizza, ovvero si limita ad apporre il nulla osta, a seconda se vi siano o meno figli minorenni e/o non economicamente autosufficienti.
Detto accordo, munito di autorizzazione o nulla osta, tiene il luogo del corrispondente provvedimento giudiziale.
La negoziazione si può svolgere interamente con modalità telematiche e gli incontri si possono svolgere da remoto in collegamento audio-video.
All’interno dell’accordo di negoziazione è possibile anche concordare, per la definizione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, trasferimenti immobiliari. Nel quale caso, però, l’accordo ha unicamente un effetto obbligatorio; per cui, ove con l’accordo venga concluso uno dei contratti, o venga compiuto uno degli atti, soggetti a trascrizione, le relative sottoscrizioni dovranno essere autenticate da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Si evidenzia come detti contratti, in forza dell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, siano esenti da tasse e quindi le Parti non pagheranno alcuna imposta di registro, ipotecaria, catastale o tassa d’archivio
Ove, le Parti stabiliscano all’interno di un accordo finalizzato al divorzio un assegno di mantenimento in un’unica soluzione, spetterà agli avvocati effettuare la valutazione di equità richiesta dalla legge.
È possibile divorziare senza avvocati (nel senso che la presenza dell’avvocato è facoltativa) solo dinanzi al Sindaco del Comune di residenza di uno dei due coniugi, ovvero del Comune presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.
Questa procedura può, però, essere seguita, solo nell’ipotesi in cui non vi siano figli minori, ovvero maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, ovvero incapaci o portatori di handicap.
Questa procedura può essere utilizzata anche per la separazione, ovvero per la modifica delle condizioni della separazione o del divorzio.
L’Ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle Parti personalmente la dichiarazione che esse vogliono divorziare, secondo le condizioni tra di esse concordate.
Ricevute dette dichiarazioni l’Ufficiale dello stato civile, fissa un nuovo incontro dinanzi a lui con i coniugi non prima di 30 giorni decorrenti dalla ricezione di dette dichiarazioni; in questo secondo ncontro i coniugi dovranno confermare il contenuto dell’accordo. Se i coniugi a questo secondo incontro non si presentano, l’accordo non sarà confermato e il divorzio non avrà luogo.
L’accordo concluso dinanzi al Sindaco non può contenere patti di trasferimento patrimoniale
L’accordo tiene luogo dei corrispondenti provvedimenti giudiziali.
Ove non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo tra i coniugi, non rimane che percorrere la strada del divorzio giudiziale.
Il divorzio giudiziale è un vero a proprio procedimento contenzioso. Trattandosi di una causa, pertanto, i futuri ex coniugi dovranno costituirsi in giudizio per il tramite di uno, o più avvocati ciascuno.
Il divorzio giudiziale si può sempre commutare in divorzio consensuale, ove i coniugi, durante, la causa raggiungano un accordo sulle questioni in sospeso.
Il divorzio giudiziale inizia con il deposito del ricorso, da parte dell’avvocato del coniuge che vuole ottenerlo, presso la cancelleria del Tribunale competente.
Se vi sono figli minori, il Giudice competente è quello del luogo dove il minore ha la residenza abituale, in caso di trasferimento non autorizzato del minore e se non è decorso un anno da detto trasferimento, il Tribunale competente è quello dell’ultima residenza abituale del minore prima del trasferimento.
Se non vi sono, invece, figli minori, il Tribunale competente è quello di residenza del convenuto. Se il convenuto è irreperibile o si trova all’estero, il Tribunale competente sarà quello del luogo di residenza dell’attore; se l’attore si trova all’estero qualunque Tribunale della Repubblica.
Il ricorso per il divorzio giudiziale deve contenere le seguenti indicazioni:
Nei caso in cui nel ricorso per il divorzio giudiziale vengano avanzate domande di mantenimento per i figli e/o per il coniuge che lo propone e nell’ipotesi in cui vi siano figli minori, allo stesso dovranno essere allegati i seguenti documenti.
La stessa documentazione dovrà essere depositata dal coniuge convenuto nell’ipotesi in cui avanzi una richiesta di mantenimento per sé e/o per i figli.
Nel caso in cui la coppia che intende separarsi per il tramite della separazione giudiziale abbia dei figli minori, al ricorso dovrà essere allegato un piano genitoriale.
In detto piano genitoriale, dovranno essere indicati gli impegni e le attività quotidiane dei figli, circa la scuola, il percorso educativo seguito, le attività extrascolastiche, le frequentazioni abituali, le vacanze normalmente godute.
Dopo il deposito del ricorso il Presidente, entro 3 giorni, con decreto fissa l’udienza di prima comparizione delle Parti.
Tra il deposito del ricorso e l’udienza non debbono intercorrere più di 90 giorni ed il convenuto deve costituirsi 30 giorni prima dell’udienza, così fissata.
Questo significa che tra la notifica al convenuto del ricorso e del relativo decreto debbono intercorrere non meno di 60 giorni liberi, cioè effettivi.
A seguito della costituzione del convenuto, tanto l’attore, quanto il convenuto possono depositare, secondo un calendario ben preciso, ulteriori memorie difensive, in cui le domande e le conclusioni già formulate rispettivamente nel ricorso e nella comparsa di costituzione e risposta, possono essere modificate, o precisate, nonché possono essere proposte domande nuove ed eccezioni che siano conseguenze delle difese dell’altro coniuge, nonché essere indicati ulteriori mezzi di prova e depositati ulteriori documenti, rispetto a quelli indicati negli atti iniziali.
Il deposito di dette memorie, la formulazione dei mezzi di prova ivi contenuta e la documentazione allegata consentirà, quindi, al Giudice, all’udienza di prima comparizione delle Parti, di avere già il quadro complessivo dell’intera situazione e potrà adottare, pertanto, i provvedimenti necessari ed urgenti – relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli, al mantenimento del coniuge ed all’assegnazione della casa coniugale – con piena cognizione di tutte le questioni che riguardano quella determinata famiglia.
All’udienza di prima comparizione i coniugi debbono comparire personalmente, salvo gravi e comprovati motivi.
Se uno dei due coniugi non compare, il Giudice può trarne argomento di prova in senso contrario al coniuge che non è comparso e detto comportamento potrà essere ritenuto rilevante in sede di determinazione delle spese di lite.
Il Giudice sente i coniugi congiuntamente, o, se la situazione lo richiede, disgiuntamente, per provare a conciliarli.
Il Giudice stesso può formulare una proposta conciliativa.
Se il tentativo di conciliazione riesce, il Giudice adotta i provvedimenti temporanei e urgenti e rinvia la causa in decisione.
Se il tentativo di conciliazione non riesce, il Giudice, con ordinanza, adotta i provvedimenti temporanei ed urgenti, nell’interesse dei figli (affidamento, mantenimento ecc..) e nell’interesse delle Parti, nei limiti delle domande proposte (mantenimento, assegnazione casa coniugale ecc.).
Se il Giudice stabilisce un contributo economico, per i coniugi e/o per i figli (assegno di mantenimento) a carico delle Parti , ne determina anche la data di decorrenza (da quando cioè deve essere pagato) e questa data può essere fatta retroagire sino alla data della domanda.
Ciò vuole dire che se il coniuge ricorrente richiede per sé e/o per i figli, un assegno di mantenimento e ha depositato il ricorso il 4 aprile 2023, il Giudice può far decorrere il pagamento di detto assegno, per l’appunto dal 4 aprile 2023.
L’ordinanza che determina l’assegno di mantenimento è titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
All’udienza di prima comparizione, il Giudice oltre ad emettere i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei figli e del coniuge, decide sui mezzi istruttori richiesti dalle Parti e fissa l’udienza per l’assunzione degli stessi entro i successivi 90 giorni.
Dopo l’istruttoria, la causa viene trattenuta in decisione.
Nell’ipotesi in cui la causa necessiti di istruttoria, è possibile che subito dopo l’udienza di prima comparizione venga adottata la sentenza che si pronunci unicamente sullo status di divorziato.
Avverso questa sentenza è possibile solo l’appello immediato.
Una volta divenuta definitiva, la sentenza sarà annotata in calce all’atto di matrimonio, a cura dell’Ufficiale di stato civile.
È necessario il passaggio in giudicato di detta sentenza per poter contrarre nuove nozze
Il coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile e che non ha contratto un nuovo matrimonio, ha, poi, diritto ad una quota di TFR che percepirà l’altro coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro. Detta quota di spettanza dell’ex coniuge è pari al 40% dell’indennità totale, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. E’ possibile presentare domanda di liquidazione di quota del TFR contestualmente alla domanda di divorzio e relativo assegno. In questo caso si formerà un giudicato simultaneo su entrambe le domande. Se la domanda di liquidazione di questa quota non viene presentata con la domanda di divorzio, occorre fare un’istanza specifica al Tribunale nei confronti dell’ex coniuge, unico tenuto al detto pagamento.
Si precisa che per il calcolo dell’importo si considera quello incassato al netto delle ritenute fiscali subite dal percipiente.
Il diritto alla percezione di una quota del TFR è del solo coniuge divorziato e non anche quello separato. Questo significa che se il TFR è maturato prima del divorzio, cioè prima del deposito del ricorso, l’altro coniuge non avrà diritto ad alcuna quota. Tuttavia, se si tratta di un TFR di importo elevato tale da incidere, in senso positivo sulle situazione economica del coniuge che lo percepisce, l’altro potrà chiedere un incremento dell’assegno di mantenimento, in sede di separazione.
In caso di morte dell’ex coniuge sorge in capo all’ex coniuge il diritto a percepire la pensione di reversibilità, se il rapporto pensionistico è anteriore alla sentenza di divorzio (art. 9, comma 2, L. Div.), purché però l’ex coniuge goda di un assegno di mantenimento periodico (non importa di che importo), diversamente non si avrà diritto ad alcuna pensione. Se esiste un successivo nuovo coniuge del defunto, allora sarà il Tribunale ad attribuire all’ex coniuge una quota della pensione, calcolata principalmente (ma non come criterio esclusivo) tenendo conto della durata dei rispettivi matrimoni.
Con il divorzio si ha la perdita di tutti i diritti successori.
No.
I motivi per i quali un coniuge non voglia concedere il divorzio possono essere molti: mancanza di accordo sull’entità dell’assegno di mantenimento per l’altro coniuge o per i figli, disaccordo sull’affidamento dei figli e/o sulla modalità di relativa frequentazione del coniuge non affidatario, piuttosto che motivazioni religiose, o più semplicemente il non volere che l’altro coniuge convoli presto a nuove nozze
Se un coniuge non vuole concedere il divorzio, quello interessato ad ottenerlo dovrà rivolgersi ad un avvocato affinché proceda giudizialmente nei confronti di detto coniuge, depositando presso il Tribunale competente un ricorso giudiziale, che andrà notificato all’altro coniuge, unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza.
Per poter contrarre nuove nozze (o una unione civile o una “convivenza di fatto”) è necessario innanzitutto che la sentenza che statuisce il divorzio diventi definitiva (cioè non più soggetta ad alcuna impugnazione, ovvero, in altre parole, passi in giudicato).
La sentenza diventa definitiva dopo che siano trascorsi sei mesi dalla relativa pubblicazione, ovvero trenta giorni dalla relativa notifica di un coniuge all’altro coniuge (e costui non proponga impugnazione in tali termini).
È tuttavia possibile abbreviare i termini, ove i coniugi prestino acquiescenza alla sentenza, cioè dichiarino di rinunciare a qualunque forma di impugnazione avverso la stessa. In tal caso la sentenza passa immediatamente in giudicato.
Dopo che la sentenza è passata in giudicato viene annotata in calce all’atto di matrimonio, a cura dell’Ufficiale dello Stato Civile, con conseguente possibilità di contrarre nuove nozze.
In caso di divorzio giudiziale, al fine di evitare che la sua notevole durata possa ritardare le nuove nozze è possibile richiedere al Tribunale una sentenza parziale, che cioè decida unicamente sullo status di coniuge, lasciando che poi la causa prosegua per le altre questioni ancora non definite. In tal modo sarà possibile riacquisire lo stato libero non appena detta sentenza passi in giudicato e venga annotata nei registri di stato civile, senza dover attendere il termine della causa.
Mentre l’uomo può passare a nuove nozze non appena la sentenza venga annotata sull’atto di matrimonio, per la donna non è così.
L’art. 89 del Codice civile prevede, infatti, che le donne non possono contrarre nuovo matrimonio se non siano trascorsi 300 giorni dalla sentenza di divorzio.
La ragione di questo divieto è quello di tutelare i figli che potrebbero nascere dopo la sentenza di divorzio, ciò in quanto nel nostro ordinamento vige il principio della presunzione della paternità in capo al marito: infatti sin quando il matrimonio non si scioglie, il marito è ritenuto essere il padre del figlio, nato, o anche solo concepito, durante il matrimonio.
Questo divieto non opera, tuttavia, nell’ipotesi in cui il divorzio sia preceduto dall’omologa della separazione consensuale, ovvero dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la separazione giudiziale.
In altri termini questo divieto si applica unicamente ai casi in cui il divorzio non venga preceduto da separazione – sia essa consensuale o giudiziale – ma venga chiesto a seguito di uno degli accadimenti indicati nell’art. 3 della legge sul divorzio.
Tuttavia anche nell’ipotesi in cui questo divieto di contrarre nuove nozze fosse operativo, sarebbe ugualmente possibile sposarsi, pagando una sanziona amministrativa irrisoria – dai 20 agli 82 euro – ed il matrimonio contratto in violazione del divieto sarebbe comunque valido.
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