Coniugi: Conto Corrente Cointestato – Prelievo nelle more della Separazione – Conseguenze e Soluzioni
Cosa accade se uno dei coniugi, in regime di separazione dei beni, effettui dei prelievi dal conto corrente cointestato, nonostante gli importi prelevati siano di provenienza esclusiva dell’altro coniuge?
Occorre partire dall’’art. 1854 del Codice Civile, che disciplina, per l’appunto, il conto corrente cointestato:
“Nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto”.
Quindi, in base a questa norma di legge, il conto corrente, c.d. a firma disgiunta, consente a ciascuno degli intestatari di effettuare liberamente prelievi, dal momento che per questa tipologia di conto la legge presume che i cointestatari (nel caso di specie coniugi) siano contitolari in parti uguali di quanto ivi contenuto.
Alla luce di questo articolo sembrerebbe, quindi, che il coniuge che, in pendenza di separazione, effettui dei prelievi sul conto corrente cointestato vada esente da ogni conseguenza.
Non è così.
Nell’ipotesi in cui le somme presenti sul conto corrente, provengano da uno solo dei coniugi, quest’ultimo può pretenderne dall’altro coniuge la restituzione.
Cosa deve dimostrare il coniuge danneggiato dal prelievo dell’altro, per avere la condanna di quest’ultimo alla restituzione delle somme ed eventualmente al risarcimento del danno?
Deve dimostrare che le somme siano di sua esclusiva proprietà e che, nonostante le abbia depositate su di un conto cointestato, non abbia inteso farne, per il 50%, donazione all’altro.
Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (n. 9197 del 3 aprile 2023) ha, in merito, testualmente affermato che:
“La possibilità che costituisca donazione indiretta l’atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito – qualora la predetta somma, all’atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l’esistenza dell'”animus donandi“, consistente nell’accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità”
In altri termini, il coniuge che deposita su di un conto corrente cointestato somme di sua esclusiva pertinenza, per superare la presunzione che le somme presenti su detto conto siano di proprietà di entrambi i coniugi per quote uguali, dovrà dimostrare, anche tramite presunzioni, purché gravi precise e concordanti, di non aver avuto alcun animus donandi, ovvero alcuna intenzione di arricchire gratuitamente l’altro coniuge.
Ove riesca a dimostrare l’assenza dell’animus donandi, potrà richiedere all’altro coniuge la restituzione di quanto dallo stesso prelevato.
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