Quali sono le principali forme di testamento?
Le tre principali forme di testamento sono:
Il testamento olografo è il più comune per la sua semplicità di redazione e per l’assenza di costi.
Perché lo stesso sia valido da un punto di vista formale è necessario che:
Ove si componga di più pagine è preferibile numerarle, siglarle/firmarle singolarmente e unirle per il tramite di una firma di congiunzione.
Irrilevante è, invece, la tipologia di carta sulla quale è redatto, purché idonea alla conservazione dello scritto, ovvero deve trattarsi di una carta che non sbiadisca, o degradi, nel tempo.
Quanto al luogo in cui conservare il testamento, la legge non dice nulla in merito.
Ciò significa che può essere custodito in casa, in luogo facilmente accessibile, o in luogo segreto; può essere consegnato direttamente al/ai beneficiario/i, ovvero consegnato ad una persona fidata.
Il vantaggio di tale modalità di conservazione è la sua gratuità.
Nel caso in cui si opti per tale modalità di conservazione, chiunque si trovi al momento della morte del testatore in possesso del relativo testamento olografo – per essergli stato consegnato direttamente dal testatore, ovvero, per averlo trovato – dovrà presentarlo ad un notaio per la relativa pubblicazione.
Il dovere da parte di chi possiede il testamento olografo di presentarlo al notaio per la relativa pubblicazione non è sanzionato in caso di mancato adempimento, né esiste un termine entro il quale debba essere adempiuto.
Nella pratica può, anzi, capitare che, ove tutti gli eredi siano d’accordo, il testamento non venga proprio presentato per la pubblicazione, preferendosi dare spontaneamente seguito alle volontà del defunto, ove possibile, senza affrontare le spese della pubblicazione.
Il rischio della suddetta modalità di conservazione del testamento presso lo stesso testatore, ovvero presso soggetti terzi diversi dal notaio, è che il documento, al momento della morte del testatore, possa non venire trovato, ovvero, che vada smarrito, o che venga alterato o distrutto, al fine, ad esempio, di favorire, una successione legittima, ove risulti più favorevole di quella testamentaria.
Pertanto se il testatore vuole mantenere segrete le sue disposizioni ed, al tempo stesso, però, tutelarsi, da eventuali distruzioni, alterazioni, celamenti, ed essere sicuro che il testamento venga pubblicato alla sua morte, con conseguente esecuzione delle sue volontà, conviene che lo depositi presso un notaio, il quale lo custodirà nei propri archivi provvedendo, poi, automaticamente, alla sua pubblicazione, nel momento in cui verrà a conoscenza della morte del testatore.
A tal fine è certamente opportuno che una o più persone fidate siano a conoscenza dell’intervenuto deposito del testamento presso il notaio, affinché lo possano avvisare del decesso del de cuius (espressione latina questa molto in uso in questa materia, servendo ad indicare colui della cui eredità si parla).
Ove si voglia effettuare il deposito del testamento olografo presso il notaio, il testatore dovrà provvedervi necessariamente in via personale (non si possono depositare testamenti per conto di altri).
Come detto, il deposito presso il notaio del testamento olografo non pregiudica la riservatezza delle informazioni in esso contenute dal momento che il notaio depositario, se ancora vivente il testatore, non può rilasciare informazioni sull’esistenza e la custodia presso il suo studio di un testamento olografo; solo la presentazione di un estratto del certificato di morte, infatti, indurrà il professionista a rilasciare tali informazioni alle persone interessate e a procedere alla relativa pubblicazione.
Il testamento olografo, come qualsivoglia altro testamento, può essere revocato, ovvero modificato in ogni momento. Ove depositato presso il notaio, questi redigerà il verbale di restituzione del testamento, sottoscritto dal testatore, dal notaio e da due testimoni. Della restituzione del testamento si prende nota a margine o in calce all’atto di deposito del testamento.
Ai fini della pubblicazione del testamento da parte del notaio è necessario presentare a quest’ultimo una serie di documenti, tra i quali rientrano certamente l’estratto dell’atto di morte e l’originale del testamento.
La pubblicazione è quel procedimento in forza del quale il testamento da atto privato diventa atto pubblico.
L’Art. 620 del Codice civile, questo testualmente prevede, per la parte di attuale interesse:
“il notaio procede alla pubblicazione del testamento [623 c.c.] in presenza di due testimoni, redigendo nella forma degli atti pubblici un verbale nel quale descrive lo stato del testamento, ne riproduce il contenuto e fa menzione della sua apertura, se è stato presentato chiuso con sigillo. Il verbale è sottoscritto dalla persona che presenta il testamento, dai testimoni e dal notaio. Ad esso sono uniti la carta in cui è scritto il testamento, vidimata in ciascun mezzo foglio dal notaio e dai testimoni, e l’estratto dell’atto di morte del testatore….Nel caso in cui il testamento è stato depositato dal testatore presso un notaio, la pubblicazione è eseguita dal notaio depositario [685 c.c.].”
Successivamente, il medesimo notaio trasmette alla cancelleria del Tribunale, competente in base all’ultimo domicilio del defunto, una copia del verbale e del testamento, che diviene in tal modo un atto pubblico, anche se redatto nella forma del testamento olografo o segreto.
Terminato questo procedimento il notaio comunica a tutti gli eredi ed eventuali legatari l’esistenza del testamento (sempre che questi non si siano stati presenti, insieme al possessore del testamento, alla relativa pubblicazione da parte del notaio medesimo).
Il testamento, oltre che olografo, può rivestire le forme del testamento pubblico o segreto; forme di testamento queste certamente più complesse ed il cui uso non è molto diffuso.
Il testamento pubblico, come dice la parola stessa, è un testamento ricevuto dal notaio, alla presenza di due testimoni.
Questo tipo di testamento è solamente sottoscritto dal testatore, dal momento che della sua stesura si occuperà il notaio medesimo.
L’indubitabile vantaggio di tale tipo di testamento è che, oltre ad essere ovviamente blindato contro i pericoli di eventuali alterazioni e soppressioni, la volontà del testore ricevuta dal notaio sarà certamente conforme alla legge – la legge notarile fa, infatti, divieto al notaio di predisporre un atto contenente disposizioni contrarie alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume – è vi sarà una perfetta aderenza tra quanto scritto e la volontà esternata dal testatore. Anche il contenuto del testamento pubblico è riservato, dal momento che lo stesso viene portato a conoscenza dei terzi, solo nel momento in cui il notaio ha notizia “comprovata” della morte del testatore.
Per questa tipologia di testamento la legge prevede numerosi adempimenti procedurali a cura del notaio, nonché la pubblicità nello speciale registro generale dei testamenti.
Quanto al testamento segreto si tratta di un testamento che non necessariamente deve essere scritto di pugno dal testatore, potendo essere scritto anche da terzi. Questo testamento deve essere consegnato dal testatore al notaio alla presenza di due testimoni.
La procedura per detto tipo di testamento è molto complessa è, sebbene questa forma garantisca la segretezza delle disposizioni testamentarie e la sicurezza contro le relative alterazioni/distruzioni, la stessa viene raramente usata, potendo, come detto, le medesime finalità essere raggiunte depositando il testamento olografo in busta chiusa presso un notaio o, fiduciariamente, presso un avvocato o un amico che provvederà a farlo pubblicare al momento della morte del testatore.
Quanto al contenuto sostanziale del testamento, deve in primo luogo rilevarsi come il testatore, ove siano presenti eredi che la legge definisce legittimari, non può disporre liberamente di tutti i suoi beni, dovendo necessariamente riservare a detti soggetti specifiche quote del patrimonio, denominata quote di riserva o quote di legittima.
I legittimari sono il coniuge e i figli ed, in mancanza di figli, gli ascendenti.
I fratelli non sono legittimari.
Le quote che la legge riserva a questi eredi sono intangibili e il testatore non può imporre alcun peso o condizione sulle medesime (il testatore, ad esempio, non può riconoscere ad uno dei suoi figli la relativa quota, a condizione che si laurei, che viva in una determinata citta, che si sposi ecc..)…
L’entità di queste quote di legittima muta a seconda del numero dei legittimari.
In altri termini, quindi, al coniuge ad ai figli spetta ¼ ciascuno.
Il che significa che, in questo caso, il testatore possa liberamente disporre di un solo quarto del suo patrimonio.
Detto quarto può essere attribuito a chiunque il testatore voglia, familiare e non, persona fisica o giuridica, enti di beneficienza ecc…
Può ovviamente essere attribuito anche ad uno dei legittimari, che in questo caso vedrà incrementata la propria quota ereditaria.
Passiamo ora a vedere come si procede al calcolo della quota disponibile.
Per individuare la quota disponibile, occorre preliminarmente calcolare l’entità del patrimonio del defunto.
Il patrimonio, oggetto della riunione fittizia (ossia ai soli fini del calcolo della quota di disponibile), non è costituito solo dai beni e diritti (dedotti i debiti) presenti al momento dell’apertura della successione (c.d. relictum), ma anche dai beni e dai diritti che sono stati donati dal defunto durante la sua vita (c.d. donatum)
Facciamo un esempio numerico.
Nell’ipotesi in cui, al momento dell’apertura della successione, il valore dei beni che il de cuius lascia (immobili, conti correnti, gioielli, quote sociali ecc…) sia pari ad € 100.000,00, e lo stesso abbia in vita contratto debiti per € 30.000,00 ed abbia fatto donazioni per € 50.000,00, la massa ereditaria da considerare sarà pari a € 120.000,00 (100.000,00 – 30.000,00 + 50.000,00=120.000,00): se la quota di disponibile è pari ad ¼, la stessa sarà di € 30.000,00.
Nella fattispecie, le donazioni sono state per un importo maggiore, onde, se alcune di esse non sono andare a favore di un legittimario (per almeno € 20.000), vi sarà almeno un legittimario insoddisfatto e che potrà agire per far revocare in parte le donazioni fatte dal defunto.
Questo vuol dire che non è possibile sottrarre la quota di legittima spettante ad un erede (ad esempio un figlio), spogliandosi in vita dei propri beni, donandoli magari al coniuge o all’altro figlio, perché questi beni donati al momento della morte verrebbero riuniti fittiziamente all’asse ereditario e sulla massa ereditaria così ricostruita, verrebbero, come detto, calcolate le quote di legittima e di disponibile.
Questo significa che chi ha ricevuto in donazione un bene da parte del de cuius, che lede la quota di riserva di un legittimario, si potrebbe vedere privato, in tutto o in parte, del suo bene, ove il legittimario esperisca con successo la c.d. azione di riduzione.
Invero, alla domanda sul perché sia necessario rispettare la quota di legittima, nelle disposizioni testamentarie, la risposta risiede, proprio, nelle azioni che possono essere intraprese dagli eredi legittimari lesi nelle loro quote.
Il legittimario che, o per testamento o per donazioni, abbia visto lesa, in tutto o in parte, la sua quota di legittima, ha diritto di vederla reintegrata, intraprendendo contro gli eredi, ovvero i donatari, o entrambi – a seconda se la sua quota sia stata lesa in ragione delle disposizioni testamentarie, o per effetto delle donazioni o di entrambe – un’azione giudiziaria, che viene definita azione di riduzione.
Lo scopo dell’azione di riduzione è quello di ottenere una sentenza che dichiari l’invalidità (in tutto o in parte) del testamento, ovvero delle donazioni, che hanno prodotto la lesione della quota di patrimonio riservata al legittimario.
Molto spesso, a seguito dell’azione di riduzione, il bene che era uscito, per effetto della disposizione testamentaria o della donazione accertata illegittima, dalla massa ereditaria torna nella massa, e su questa massa, cosi reintegrata, verrà calcolata la quota del legittimario leso, che si troverà, quindi, in comunione ereditaria con gli altri eredi e avrà, quindi, la facoltà di domandare, al pari di tutti gli altri eredi, la divisione ereditaria sulla quota definita dalla sentenza.
In altri casi, che riguardano in particolar modo le donazioni, il bene non viene restituito, ma in ogni caso il beneficiario della disposizione illegittima sarà tenuto a corrispondere al legittimario l’equivalente pecuniario della parte della sua quota lesa.
Il termine per esperire, da parte del legittimario leso, l’azione di riduzione è di 10 anni, che decorrono dalla morte del de cuius nel caso in cui la quota di legittima sia lesa per effetto di una donazione, ovvero dall’accettazione dell’eredità del beneficiario della disposizione testamentaria, se sia stata questa a ledere la quota di legittima.
Ove non ci fossero, poi, esigenze di attribuire determinati beni a specifici eredi, e al tempo stesso, si volesse essere ragionevolmente certi che alcun contenzioso possa venir intentato da eventuali legittimari lesi, si potrebbe dividere per testamento il patrimonio, rispettando le quote di legittima, attribuendo la quota disponibile a chi lo si desidera.
In tal caso, gli eredi si troveranno, a seguito della morte del decuius, in una situazione di comunione ereditaria, divenendo contitolari del patrimonio ereditario.
Per far cessare questa situazione di comunione è necessario procedere alla divisione ereditaria.
La divisione ereditaria è l’atto mediante il quale i coeredi pongono fine alla comunione ereditaria.
Ogni coerede può chiedere la divisione.
La divisione può avvenire in via giudiziale, se gli eredi non raggiungono un accordo, oppure mediante contratto, se l’accordo venga, invece, raggiunto.
La divisione può essere fatta anche dal testatore (la cd. divisione testamentaria), rimanendo però in questo caso la questione del rispetto delle quote di legittima.
Quando ci sono beni immobili oggetto di comunione ereditaria, non è sempre agevole procedere alla divisione, soprattutto quando questi non sono agevolmente divisibili.
Ove non sia possibile procedere al frazionamento di detti beni, allora l’art. 720 c.c. dispone che tali beni “devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione. Se nessuno dei coeredi è a ciò disposto, si fa luogo alla vendita all’incanto“.
Per quanto riguarda il coniuge, allo stesso spetta, oltre alla quota di legittima, anche il diritto di abitazione sulla casa coniugale e l’uso dei mobili che la corredano, purché l’abitazione in parola sia di proprietà del testatore, ovvero in proprietà comune con il coniuge superstite.
Se la casa fosse, invece, di proprietà di terzi questo diritto di abitazione non spetterebbe.
Il diritto di abitazione è un diritto personalissimo, non pignorabile, che non può essere ceduto a terzi.
Il coniuge non può dare in locazione la casa nella quale abita, né concedere sulla stessa ipoteca.
Perché al coniuge spetti automaticamente il diritto di abitazione al momento dell’apertura della successione è necessario che lo stesso conviva con il de cuius al momento della relativa morte.
Il diritto di abitazione è circoscritto alla casa adibita a residenza familiare e non si estende alle seconde case o comunque ad altri immobili.
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