Quando l’ex coniuge non perde il diritto all’assegno di mantenimento, nonostante abbia una convivenza stabile?
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14526 del 5 maggio 2022 qui in commento, conferma in quale ipotesi l’istaurazione di una stabile convivenza more uxorio, da parte del coniuge avente diritto all’assegno, non escluda il diritto alla percezione dell’assegno medesimo.
Occorre premettere che la Suprema Corte, con la sentenza a Sez_Un_32198_2021, aveva specificato che nell’ipotesi in cui il coniuge divorziato, percettore dell’assegno, avesse intrapreso una convivenza stabile (purché accertata in via giudiziale), questa avrebbe inciso sul diritto al riconoscimento dell’assegno medesimo, escludendolo.
Ciò in quanto la circostanza che l’ex coniuge abbia inteso intraprendere un nuovo progetto di vita con un terzo – con la conseguente insorgenza di reciproci doveri di assistenza materiale e morale – fa venire meno, a giudizio della Corte, ogni obbligo di mantenimento a carico dell’altro ex coniuge, eliminando ogni residuo vincolo di solidarietà post coniugale.
La Suprema Corte esclude, cioè, che il diritto alla percezione dell’assegno di mantenimento possa essere messo in stand-by durante il tempo (indeterminato per definizione) della durata della nuova convivenza, per poi risorgere una volta che questa eventualmente cessi.
Ciò significa che se il coniuge economicamente più debole decide di convivere stabilmente con un’altra persona, di questa convivenza ne dovrà accettare anche il rischio della relativa fine, senza però che in tal caso possa vedere nuovamente sorgere il suo diritto al mantenimento da parte dell’altro ex coniuge che si libera, in tal modo, definitivamente del relativo obbligo.
Vi è però un’ ipotesi, individuata dalle Sezioni Unite e confermata dalla sentenza in parola, nella quale l’istaurazione di una stabile convivenza da parte del coniuge economicamente più debole non fa venire meno l’obbligo in capo all’altro di corrispondere l’assegno.
Questa ipotesi ricorre tutte le volte in cui l’assegno, che sia stato riconosciuto all’ex coniuge divenuto convivente, abbia natura compensativa.
Invero, tutte le volte in cui la differenza economica-patrimoniale esistente tra i due ex coniugi al momento della fine del loro matrimonio sia riconducibile alle scelte lavorative e familiari fatte del coniuge più debole, che durante il matrimonio ha sacrificato le sue realistiche prospettive lavorative e reddituali in nome della famiglia, cui si è in via preminente dedicato, consentendo all’altro dedicarsi a tempo pieno al lavoro, contribuendo, in tal modo, alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale dell’altro coniuge, lo stesso avrà diritto, ad un assegno che riequilibri detta disparità economica, sempre che dette scelte autolimitanti siano stata fatte in accordo con l’altro coniuge.
Il diritto a detto assegno, proprio per la sua natura compensativa/ perequativa, è, quindi, destinato a permanere anche nell’ipotesi in cui il coniuge che lo percepisce intraprenda una stabile convivenza, in quanto detta nuova scelta di vita non pone nel nulla i sacrifici dallo stesso fatto durante il matrimonio, né tanto meno l’apporto dallo stesso fornito alla realizzazione del patrimonio personale e familiare dell’ex coniuge obbligato
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