Lo scopo di questa guida è quello di fornirti tutte le principali informazioni preliminari sul divorzio; tutte quelle informazioni che di solito vengono acquisite nel primo incontro preliminare con l’Avvocato. Grazie ad essa avrai una visione di insieme del procedimento che ti accingi ad affrontare
Cosa significa divorziare?
Il matrimonio, a seguito della sentenza di divorzio passata in giudicato (ovvero non più soggetta ad impugnazione), o per effetto dell’accordo adottato all’interno del procedimento di negoziazione assistita, termina definitivamente.
Quindi, in caso di matrimonio concordatario (ossia quello contratto dinanzi ad un ministro di culto cattolico), si avrà la cessazione degli effetti civili del matrimonio, mentre, nel caso di matrimonio civile, si avrà lo scioglimento del matrimonio.
Solo a seguito del divorzio, moglie e marito diventano “ex”, ovvero, perdono definitivamente lo status di coniuge.
Solo con il divorzio – e non con la separazione – gli ex coniugi perdono i reciproci diritti successori, cessando di conseguenza di essere eredi l’uno dell’altro, e tornano ad essere due (quasi) perfetti estranei. Nessuna quota di legittima viene, infatti, riservata dalla legge al coniuge divorziato.
Solo a seguito del divorzio è possibile contrarre nuovo matrimonio o unione civile o diventare “convivente di fatto”.
Nel nostro ordinamento allo stato attuale il divorzio si può richiedere, nel caso sia preceduto da una separazione consensuale, trascorsi sei mesi dall’unica udienza di questa tipologia di separazione, la c.d. udienza presidenziale, ovvero dalla data di sottoscrizione dell’accordo di separazione concluso a seguito della procedura di negoziazione assistita.
Nel caso, invece, in cui il divorzio sia preceduto dal procedimento di separazione giudiziale, il divorzio medesimo si può richiedere solo dopo che sia trascorso un anno dalla prima udienza di questo procedimento, cioè, anche in questo caso, dall’udienza presidenziale.
Ci sono due modi per divorziare: consensualmente o giudizialmente.
Il divorzio consensuale (c.d. divorzio congiunto) si ha quando i futuri ex coniugi raggiungono (con l’ausilio di un solo avvocato, o di due o più avvocati per parte) un accordo su tutte le condizioni del divorzio, quali a livello esemplificativo: l’assegnazione della casa coniugale, il mantenimento dei figli, l’affidamento dei figli minorenni, l’eventuale mantenimento del coniuge economicamente più debole.
In questo caso il contenuto dell’accordo viene trasfuso in un ricorso congiunto, che viene depositato presso il Tribunale.
Ugualmente di natura consensuale è il divorzio che si ottiene ricorrendo all’agile strumento della negoziazione assistita, che consente di divorziare senza recarsi in Tribunale e senza partecipare ad alcuna udienza.
In questo caso l’accordo che viene raggiunto dai coniugi (che dovranno essere necessariamente assistiti da due avvocati, uno per ciascun coniuge) non viene trasfuso in un ricorso, ma è lo stesso accordo che viene depositato presso la Procura della Repubblica del Tribunale competente, che, in pochi giorni, lo autorizza, se vi sono figli minorenni o non economicamente autosufficienti, ovvero si limita ad apporre il nulla osta.
La negoziazione assistita è certamente lo strumento più rapido che i coniugi hanno per divorziare, ove si consideri che la legge prevede che il termine massimo per raggiungere l’accordo sia di tre mesi, prorogabile su accordo delle parti di altri 30 giorni, laddove, invece, in Tribunale bisogna mettere in preventivo un’attesa di almeno 6 mesi
Ove non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo, non rimane che percorrere la strada del divorzio giudiziale.
Il divorzio giudiziale è una un vero a proprio procedimento contenzioso. Trattandosi di una causa, pertanto, i futuri ex coniugi dovranno costituirsi in giudizio per il tramite di uno, o più avvocati ciascuno.
Il divorzio giudiziale ha un durata notevolmente più lunga rispetto al divorzio consensuale. Indicativamente la durata di una causa di divorzio oscilla tra i due e i quattro anni a seconda della complessità delle questioni trattate. È possibile tuttavia ottenere una sentenza parziale di divorzio, lasciando che poi la causa prosegua, nei tempi anzidetti, sulle questioni accessorie (mantenimento dei figli e dell’ex coniuge, assegnazione casa familiare ecc…).
Il divorzio giudiziale si può sempre commutare in divorzio consensuale, ove i coniugi, durante, la causa raggiungano un accordo sulle questioni in sospeso.
Le principali questioni che debbono decise nel procedimento di divorzio, sia esso svolto consensualmente, oppure per via giudiziale sono:
La procedura di divorzio non muta a seconda se vi siano o meno figli.
In caso di presenza di figli minorenni e/o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, dovranno però essere risolte le questioni inerenti il loro affidamento, con corrispettiva assegnazione della casa coniugale al genitore c.d. affidatario, nonché le questioni inerenti il loro mantenimento
Con il divorzio può essere riconosciuto al (ex) coniuge economicamente più debole, un assegno di mantenimento, nonché, ove lo stesso sia affidatario dei figli, l’assegnazione della casa familiare.
Si osserva come l’assegnazione della casa coniugale verrà disposta dal Giudice solo ove siano presenti figli minorenni, ovvero maggiorenni ma non economicamente autosufficienti.
L’assegnazione di detta casa, avverrà a favore del (ex) coniuge c.d. affidatario, cioè del coniuge presso il quale i figli passeranno la maggior parte del loro tempo, essendo rare le ipotesi in cui, pur in presenza dell’affido condiviso, il tempo che i figli passano con i rispettivi genitori sia del tutto equivalente.
Il coniuge divorziato, titolare di assegno divorzile e che non ha contratto un nuovo matrimonio, ha, poi, diritto ad una quota di TFR che percepirà l’altro coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro. Detta quota di spettanza dell’ex coniuge è pari al 40% dell’indennità totale, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. E’ possibile presentare domanda di liquidazione di quota del TFR contestualmente alla domanda di divorzio e relativo assegno. In questo caso si formerà un giudicato simultaneo su entrambe le domande. Se la domanda di liquidazione di questa quota non viene presentata con la domanda di divorzio, occorre fare un’istanza specifica al Tribunale nei confronti dell’ex coniuge, unico tenuto al detto pagamento.
Si precisa che per il calcolo dell’importo si considera quello incassato al netto delle ritenute fiscali subite dal percipiente.
Il diritto alla percezione di una quota del TFR è del solo coniuge divorziato e non anche quello separato. Questo significa che se il TFR è maturato prima del divorzio, cioè prima del deposito del ricorso, l’altro coniuge non avrà diritto ad alcuna quota. Tuttavia, se si tratta di un TFR di importo elevato tale da incidere, in senso positivo sulle situazione economica del coniuge che lo percepisce, l’altro potrà chiedere un incremento dell’assegno di mantenimento, in sede di separazione.
In caso di morte dell’ex coniuge sorge in capo all’ex coniuge il diritto a percepire la pensione di reversibilità, se il rapporto pensionistico è anteriore alla sentenza di divorzio (art. 9, comma 2, L. Div.), purché però l’ex coniuge goda di un assegno di mantenimento periodico (non importa di che importo), diversamente non si avrà diritto ad alcuna pensione. Se esiste un successivo nuovo coniuge del defunto, allora sarà il Tribunale ad attribuire all’ex coniuge una quota della pensione, calcolata principalmente (ma non come criterio esclusivo) tenendo conto della durata dei rispettivi matrimoni.
Con il divorzio si ha la perdita di tutti i diritti successori.
No.
I motivi per i quali un coniuge non voglia concedere il divorzio possono essere molti: mancanza di accordo sull’entità dell’assegno di mantenimento per l’altro coniuge o per i figli, disaccordo sull’affidamento dei figli e/o sulla modalità di relativa frequentazione del coniuge non affidatario, piuttosto che motivazioni religiose, o più semplicemente il non volere che l’altro coniuge convoli presto a nuove nozze
Se un coniuge non vuole concedere il divorzio, quello interessato ad ottenerlo dovrà rivolgersi ad un avvocato affinché proceda giudizialmente nei confronti di detto coniuge, depositando presso il Tribunale competente un ricorso giudiziale, che andrà notificato all’altro coniuge, unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza presidenziale.
Per poter contrarre nuove nozze (o una unione civile o una “convivenza di fatto”) è necessario innanzitutto che la sentenza che statuisce il divorzio diventi definitiva (cioè non più soggetta ad alcuna impugnazione, ovvero, in altre parole, passi in giudicato).
La sentenza diventa definitiva dopo che siano trascorsi sei mesi dalla relativa pubblicazione, ovvero trenta giorni dalla relativa notifica di un coniuge all’altro coniuge (e costui non proponga impugnazione in tali termini).
È tuttavia possibile abbreviare i termini, ove i coniugi prestino acquiescenza alla sentenza, cioè dichiarino di rinunciare a qualunque forma di impugnazione avverso la stessa. In tal caso la sentenza passa immediatamente in giudicato.
Dopo che la sentenza è passata in giudicato viene annotata in calce all’atto di matrimonio, a cura dell’Ufficiale dello Stato Civile, con conseguente possibilità di contrarre nuove nozze.
In caso di divorzio giudiziale, al fine di evitare che la sua notevole durata possa ritardare le nuove nozze è possibile richiedere al Tribunale una sentenza parziale, che cioè decida unicamente sullo status di coniuge, lasciando che poi la causa prosegua per le altre questioni ancora non definite. In tal modo sarà possibile riacquisire lo stato libero non appena detta sentenza passi in giudicato e venga annotata nei registri di stato civile, senza dover attendere il termine della causa.
Mentre l’uomo può passare a nuove nozze non appena la sentenza venga annotata sull’atto di matrimonio, per la donna non è così.
L’art. 89 del Codice civile prevede, infatti, che le donne non possono contrarre nuovo matrimonio se non siano trascorsi 300 giorni dalla sentenza di divorzio.
La ragione di questo divieto è quello di tutelare i figli che potrebbero nascere dopo la sentenza di divorzio, ciò in quanto nel nostro ordinamento vige il principio della presunzione della paternità in capo al marito: infatti sin quando il matrimonio non si scioglie, il marito è ritenuto essere il padre del figlio, nato, o anche solo concepito, durante il matrimonio.
Questo divieto non opera, tuttavia, nell’ipotesi in cui il divorzio sia preceduto dall’omologa della separazione consensuale, ovvero dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la separazione giudiziale.
In altri termini questo divieto si applica unicamente ai casi in cui il divorzio non venga preceduto da separazione – sia essa consensuale o giudiziale – ma venga chiesto a seguito di uno degli accadimenti indicati nell’art. 3 della legge sul divorzio.
Tuttavia anche nell’ipotesi in cui questo divieto di contrarre nuove nozze fosse operativo, sarebbe ugualmente possibile sposarsi, pagando una sanziona amministrativa irrisoria – dai 20 agli 82 euro – ed il matrimonio contratto in violazione del divieto sarebbe comunque valido.
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